domenica 13 settembre 2009

03. Lo Stato-nazione

Nel lontano passato il termine “nazione” (dal latino nasci, nascere) veniva impiegato per indicare il paese d’origine, non un’unità politica territoriale e nemmeno vincoli di solidarietà, i quali, di norma, poggiavano su altri fattori, come la religione o l’appartenenza ad un determinato ceto sociale. In età moderna e fino alla rivoluzione francese, il termine è usato solo in riferimento alle classi dominanti, ai nobili e ai ceti privilegiati. In Lutero, per esempio, l’espressione “nazione tedesca” definisce i principi tedeschi, in contrapposizione alle masse popolari. Il significato del termine cambia a partire dalle fasi iniziali della Rivoluzione, allorché l’abate Sieyés dichiara che il Terzo stato è l’unica parte attiva del paese e l’unico rappresentante della nazione. ma è col Romanticismo che l’idea di nazione viene applicata ad uno Stato territoriale ed esaltata come se fosse una persona dotata di anima, una persona inconfondibile e superiore, sia rispetto ad altre entità nazionali sia rispetto agli individui che la compongono. L’individualismo illuminista e cosmopolita, cioè l’idea della singola persona che si rapporta col mondo, viene sostituito dal nazionalismo romantico, ossia dal primato della patria sulla persona. Per un romantico, come Friedrich Meinecke (1862-1954), la nazione è un tutto, un assoluto, un ente primigenio, che ha in sé la ragione del suo essere. Avendo una propria anima, la nazione non è qualcosa che dipende dall’uomo e che può essere imposta o rimossa con la forza, ma il frutto spontaneo dello spirito popolare nel suo continuo realizzarsi.
“La grandezza e la bellezza della patria sono i temi costanti esaltati dai poeti e dagli artisti” (SCHNERB 1957: 211). La superiorità nazionale va preservata dagli inevitabili attacchi che vengono dall’esterno, da parte di altre nazioni invidiose e distruttrici, ma, soprattutto, dev’essere dimostrata con i fatti, che, in ultimo, si traducono in rapporti di ricchezza e di forza. È difficile, infatti, provare, in modo diretto e assoluto, la superiorità di una religione rispetto ad un’altra, di una cultura rispetto ad un’altra, di uno stile di vita rispetto ad un altro. Molto più facile è, invece, provare questa superiorità in modo indiretto, facendola cioè derivare da fattori più facilmente quantificabili, come le risorse finanziarie, la consistenza demografica e la potenza militare. Ma anche le nazioni più piccole e più deboli traggono forza emotiva dalle proprie tradizioni e dalla propria storia e, pertanto, non accettano di interpretare un ruolo subalterno solo perché sono meno potenti. Nessuna nazione, alla fine, sarà disposta ad ammettere la sua inferiorità se non vi è costretta con la forza, intesa in senso lato: economica, demografica, tecnologica, scientifica, militare.
Ora, non si può parlare di superiorità nazionale se non esiste un’identità nazionale, una coscienza di popolo e un’idea di patria. Sotto questo aspetto, le vecchie monarchie si trovano avvantaggiate, avendo già nel re un importante fattore di unità, anche se ciò può rivelarsi insufficiente laddove vi siano rilevanti differenze di religione, di cultura e di lingua. Si trovano, infatti, in difficoltà le entità politiche multietniche, come l’impero d’Austria e l’impero Ottomano, che devono faticare per contenere le spinte nazionali indipendentiste, che si producono al loro interno. Si trovano in difficoltà anche gli aspiranti Stati, come l’Italia e la Germania, dove una coscienza nazionale unitaria non c’è mai stata e dove gli ideologi nazionalisti si trovano a dover fare un gran lavoro per costruirla. Particolarmente critico è il caso italiano, dove manca anche una lingua nazionale. In questo caso, lo Stato-nazione dovrà essere creato di sana pianta e potrà esserlo solo grazie all’iniziativa di un esiguo numero di patrioti e di una ristretta élite di intellettuali, la cui azione, tuttavia, non potrebbe conseguire il successo sperato se non fosse sostenuta dall’interesse della borghesia piemontese e dei Savoia.

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