domenica 13 settembre 2009

11. I francesi

L’insediamento sul trono di Luigi XVIII (1814-24) non costituisce una pura e semplice restaurazione dell’ancien régime, ma un quadro politico nuovo, in cui restano preservate le conquiste rivoluzionarie, come l’eguaglianza dinanzi alla legge, le libertà individuali di culto, di lavoro e di commercio, e lo stesso codice civile, mentre i poteri del re vengono inseriti in un contesto di governo parlamentare. La situazione cambia sotto il regno di Carlo X (1824-30), uno dei più convinti sostenitori della Restaurazione, il quale attua una politica repressiva e reazionaria, che però sfocia in una nuova rivoluzione (1830), a seguito della quale sale sul trono Luigi Filippo (1830-48), candidato della borghesia liberale. Il nuovo sovrano modifica la Costituzione del 1814, limitando ancora una volta i poteri regi e ampliando quelli della rappresentanza parlamentare. Egli non si richiama più al diritto divino ma, al contrario, si appella al consenso della nazione, introducendo così i presupposti per l’affermazione del principio della sovranità popolare. Il cattolicesimo cessa di essere la religione di Stato e il censo elettorale viene abbassato, anche se la maggior parte dei cittadini rimane ancora esclusa dalla vita politica.
È in un’associazione operaia, la cosiddetta Lega dei giusti, che, nel 1844, entrano in contatto, a Parigi, due giovani intellettuali, Marx ed Engels, che si uniscono e insieme fondano la Lega dei comunisti (1847). I comunisti, come del resto anche i socialisti, non sono ben visti dalle classi dominanti. Luigi Filippo conduce una politica favorevole alla borghesia possidente, e scontenta le masse. Il suo atteggiamento pacifista, inoltre, non è gradito a molti francesi, che ricordano con nostalgia i tempi di Napoleone. L’Opposizione organizza dei grandi banchetti politici, in cui viene offerta al popolo l’occasione di manifestare il proprio malcontento nei confronti del governo e le proprie rivendicazioni democratiche, come quella del suffragio universale. È il tentativo d’impedire uno di questi banchetti, che scatena la rivoluzione del febbraio 1848, la quale coglie di sorpresa Luigi Filippo, che abdica, ma gli insorti proclamano la Seconda Repubblica (24 febbraio 1848), la cui Costituzione, che è scritta nel rispetto dei principî rivoluzionari di “libertà, uguaglianza e fraternità”, riconosce la sovranità all’universo dei cittadini, abroga la schiavitù, introduce il suffragio universale, ribadisce tutte le libertà democratiche dei cittadini e affida il potere legislativo ad un Presidente e ad un’Assemblea unica eletti dal popolo.
La rivoluzione francese del 1848 segna una svolta storica, perché registra, per la prima volta, l’ingresso del proletariato nella scena politica europea che, da questo momento, sarà dominata da due modelli contrapposti: il vecchio modello nazionalista-borghese (che si esprime nelle due varianti monarchico-parlamentare e repubblicano-parlamentare) e quello nuovo, social-proletario, che, in realtà, non svolge ancora un ruolo determinante e i cui leader, come Alphonse Lamartine e Francois Arago, continuano ad appartenere alla classe borghese. Sono persone come loro, ossia una ristretta élite, e non il proletariato, che pure versa in condizioni precarie, a lottare per i diritti democratici del popolo. Insomma, la borghesia liberale costituisce la maggiore forza politica del paese, ed è essa che vince le elezioni di aprile, mentre le forze socialiste rimangono minoritarie. Un’insurrezione popolare guidata da socialisti viene soffocata nel sangue (giugno 1848). In un’atmosfera di inquietudine, generata da questi eventi, e in un clima di difficoltà economiche, nel dicembre 1848, i francesi eleggono a larga maggioranza il principe Luigi Napoleone, nipote di Napoleone I (10.12.1848).
Il neo Presidente conduce la sua politica su tre cardini: il populismo, l’ostentata deferenza verso la chiesa di Roma e il legame con gli ambienti economicamente forti del paese. Dichiara di volersi battere per la democrazia, l’ordine sociale, la religione, la famiglia, la proprietà, la pace, la libertà, la disoccupazione e la riduzione delle tasse. Assicura inoltre che è sua intenzione di rimettere il mandato dopo i quattro anni della legislatura. Poi, approfittando del malcontento popolare, riesce, con un colpo di Stato (2.12.51), ad impadronirsi del potere e ad inserire nei posti chiave uomini a lui devoti, finché, un senato-consulto lo proclama imperatore col nome di Napoleone III (7.11.52) e un plebiscito popolare sancisce l’avvento del Secondo Impero (2.12.1852). La politica di Napoleone III, che è appoggiata dalla borghesia e dal clero, prevede l’instaurazione di un governo di tipo paternalistico teso a migliorare le condizioni socio-economiche del paese, la limitazione delle libertà democratiche, il rafforzamento del potere centrale, l’interpretazione di un grande ruolo internazionale da parte della Francia, teso a rinverdire i fasti del recente passato.
La partecipazione vittoriosa dei francesi alla guerra di Crimea (1854-6) contro le mire espansionistiche della Russia, che, approfittando della debolezza dell’impero ottomano, sta cercando di aprirsi una strada verso il Mediterraneo, consente alla Francia di riacquistare un rango di preminenza in Europa. Negli anni seguenti, Napoleone III annette Nizza e la Savoia (1860), espande le colonie francesi e partecipa in modo determinante all’apertura del canale di Suez (1869). Altri successi si registrano in politica interna, che è caratterizzata da una significativa ripresa economica, da considerevoli progressi industriali e da importanti aperture liberali, come il riconoscimento del diritto di sciopero e di associazione (1864) e la liberalizzazione della stampa (1868), e, anche se la condizione operaia resta precaria, Napoleone III può contare su una grande popolarità, fino alla vigilia del tracollo. Il plebiscito del 8.5.1870 gli attribuisce, infatti, oltre 7 milioni di consensi, a fronte di un milione e mezzo di voti contrari.
La caduta di Napoleone è causata dalla sua partecipazione alla politica degli Stati tedeschi, che puntano all’unità nazionale. Lo scopo di Napoleone è quello di favorire l’unità tedesca in cambio di compensi territoriali (Lussemburgo, Belgio, e altro). La sua sfortuna è quella di trovarsi di fronte un personaggio del calibro di Otto Bismarck, primo ministro prussiano, che, abilmente, irretisce l’imperatore francese e lo induce a dichiarare guerra alla Prussia, isolandolo così a livello internazionale. Alla notizia della disfatta di Napoleone III a Sedan (2.9.1870), l’Impero viene dichiarato decaduto e si proclama la Terza Repubblica (4.9.1870), che ha in Adolphe Thiers il suo primo presidente (1871-73). Oltre a cedere l’Alsazia e la Lorena, la Francia si impegna a corrispondere ai vincitori una gravosa indennità di guerra, la cui riscossione è garantita dalla permanenza in territorio francese di truppe tedesche (pace di Versailles del 28.2.1871 e trattato di Francoforte del 10.5.1871). Napoleone III ripara in Inghilterra, dove non cessa di sperare nella restaurazione dell’Impero.
Il popolo francese è deluso per la sconfitta e per il calo di prestigio della Francia e teme il ritorno del regime monarchico. A Parigi la popolazione insorge e, dopo essersi impadronita del potere (18.3.1871), decide di eleggere un governo municipale, che è composto di 90 membri, in prevalenza giacobini, discepoli di Proudhon e Blanqui. Nasce così la cosiddetta Comune (26 marzo 1871), la quale rappresenta il primo esempio di governo proletario della storia moderna, un governo che, per molti aspetti, richiama la DD: i rappresentanti sono eletti dal popolo a suffragio universale e sono revocabili in ogni momento, il loro potere è minimo e il loro salario è pari a quello degli operai, ogni privilegio di classe viene rimosso, la Chiesa viene espropriata dei propri beni e i sacerdoti costretti a vivere d’elemosina, la scuola viene resa obbligatoria e gratuita, la giornata lavorativa fissata ad un massimo di dieci ore. Attaccati duramente dalle forze governative di Thiers, i comunardi oppongono una strenua resistenza, ma alla fine devono cedere, lasciando sul campo 20 mila vittime (28 maggio 1871).
La Terza repubblica si connota per la presenza di due fronti politici (uno repubblicano e riformista, l’altro antidemocratico e tradizionalista, in cui confluiscono militari, nazionalisti e cattolici) che si alternano al potere. Un colpo di Stato progettato dal generale Boulanger (1889) viene sventato, ma ciò non impedisce alle forze conservatrici di insistere nella loro politica, che è tutta tesa a rafforzare lo spirito nazionalistico del popolo francese e a ripristinare un governo di tipo autoritario e guerrafondaio, capace di riprendersi i territori perduti e salvare l’orgoglio nazionale. È in questo quadro che si inserisce una vicenda, che può sembrare singolare, anche se, forse, purtroppo, è semplicemente ordinaria. Stiamo parlando del cosiddetto “affare Dreyfus”, un chiaro esempio di cosciente e premeditata subordinazione e strumentalizzazione dell’individuo a beneficio di un disegno politico perseguito da un gruppo governativo. In questo caso, si tratta di una campagna apparentemente antisemita, ma, in realtà, nazionalistica e antidemocratica.

11.1. L’affare Dreyfus
Nel 1894 viene scoperto un documento inviato da un ufficiale francese ad un collega tedesco e nel quale si parla di segreti militari. I sospetti cadono su Alfred Dreyfus, un capitano d’artiglieria d’origine ebrea, la cui calligrafia somiglia a quella del documento. Subito arrestato, invano Dreyfus protesta la propria innocenza, ma, grazie all’interessamento della sua famiglia, le indagini proseguono e si scopre che un altro ufficiale francese, un certo Esterhazy, ha una calligrafia simile a quella usata nel documento in questione. Processato, Esterhazy viene prosciolto, anche se ci sono evidenti prove della sua colpevolezza. La ragione è che lo Stato maggiore non vuole che venga messo in discussione il verdetto del 1894, la qual cosa potrebbe nuocere alla causa del nazionalismo e della ragion di Stato. Dello stesso avviso è la maggioranza dei cattolici. Insomma, meglio condannare un innocente che compromettere l’immagine del paese. In termini etici, il principio suonerebbe così: è bene sacrificare un cittadino, se ciò giova al buon nome dello Stato. Questo principio rovescia l’ordine naturale delle cose, secondo cui lo Stato si giustifica in funzione e al servizio del cittadino, e non viceversa. I democratici però non ci stanno e chiedono e ottengono la revisione del processo, col risultato che Dreyfus viene nuovamente condannato (1899). L’affare si conclude nel 1906, quando, essendo il governo passato nelle mani di una coalizione di sinistra, la Corte di cassazione annulla il giudizio e reintegra Dreyfus nelle sue funzioni. I responsabili dell’imbroglio rimangono impuniti.

Intanto, preoccupata per la crescita della potenza militare della Germania, la Francia firma l’Entente cordiale con la Gran Bretagna (1904) e la Triplice intesa (1907), che comprende anche la Russia.

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