domenica 13 settembre 2009

10. La democrazia rappresentativa (DR)

Le nuove istanze troveranno un’efficace risposta nella democrazia rappresentativa o indiretta (DR). Fino ai tempi dell’indipendenza delle colonie americane, l’unica forma concepibile di democrazia era quella diretta, partecipativa o assembleare, la quale, tuttavia, era ritenuta praticabile solo in piccole società, e non nei grandi Stati. La democrazia indiretta o rappresentativa (DR) è una scoperta delle colonie americane, che la applicano nelle loro costituzioni. A partire da questo momento, la DR avrà una massiccia diffusione a livello planetario e si affermerà come la forma di governo più adatta a gestire la complessità dei nuovi Stati industrializzati e borghesi. L’Ottocento può essere, appunto, considerato un periodo di transizione da un modello aristocratico, che tramonta, ad uno “democratico”, che sorge. E si tratta di due mondi lontani. A differenza del vecchio sistema sociale gerarchizzato feudale, dove ognuno occupa un rango preciso ed ha un destino fondamentalmente già tracciato alla nascita, la DR ben si adatta a cittadini che coltivano i principi del liberalismo e che vogliono costruire da sé il proprio destino, ma la sua accettazione non è immediata.
Sebbene stiamo parlando di un sistema di democrazia per rappresentanza, il modello DR costituisce un cambiamento troppo brusco per la cultura del Vecchio Continente e, infatti, non è accettato nemmeno dai più acuti osservatori politici europei del tempo, come Tocqueville (1805-59), il quale frena sulla democrazia, nella quale vede il rischio che prevalga l’egoismo distruttore. “L’individualismo – scrive – è di origine democratica; minaccia di svilupparsi via via che le condizioni si livellano” (La democrazia in America II: 515). Tocqueville ritiene che il popolo non sia in grado di autogovernarsi, in quanto privo del tempo e della capacità necessari allo scopo: solo gli aristocratici dispongono dell’uno e dell’altra, e solo loro possono essere gli attori della democrazia. La sua democrazia è non solo rappresentativa, ma anche di tipo elitario e legata al censo.
Sulla stessa linea si colloca Benjamin Constant (1767-1830), il quale mette in guardia dal rischio di una tirannide della maggioranza, vale a dire di una paventata prevalenza delle masse plebee sulle élites sociali. Tocqueville e Constant possono essere considerati fra i primi grandi interpreti europei della liberal-democrazia rappresentativa (DR), che è stata inventata dagli americani.

10.1. La democrazia di John Stuart Mill
Per John Stuart Mill (1806-73), la felicità è il fine ultimo della vita e ciascun individuo dev’essere lasciato libero di perseguirla a modo suo, con l’unico limite di non interferire con la libertà degli altri. Ciò significa Stato minimo e massima libertà dei cittadini nella loro vita privata. I poteri dello Stato vanno divisi in esecutivo, legislativo e giudiziario, e la Costituzione deve contenere le norme valide per tutti, a garanzia del rispetto delle libertà e dell’uguaglianza di fronte alla legge. La partecipazione dei cittadini alla vita politica è desiderabile, ma non solo come mezzo di controllo dei governanti, bensì come mezzo di crescita e maturazione dei cittadini, oltre che come mezzo per realizzare democrazie sempre più evolute e coinvolgenti. Qualsiasi sistema politico che non dia a ciascuno la possibilità di essere artefice del proprio destino o di esprimersi in conformità della propria natura umana, è da rigettare.
Mill è sicuramente un vero democratico. Tuttavia, partendo dal postulato che il modello della polis non possa essere applicato nei grandi Stati moderni, non sa andare al di là della democrazia rappresentativa. La democrazia diretta sarebbe “pura follia se applicata a qualsiasi comunità appena più grande di una cittadina” (HELD 1997: 153). Mill è favorevole allo Stato-nazione di grandi dimensioni e ritiene che la proprietà privata dei mezzi di produzione (capitalismo) possa coesistere con altre forme di proprietà collettiva (socialismo). La sovranità appartiene al popolo, certo, ma esso può esercitarla solo attraverso i suoi rappresentanti. Il voto è segreto e deve avere un valore «proporzionale», deve cioè avere un peso sociale diverso da elettore a elettore, secondo i meriti personali. Mill, infatti, pur essendo incline a concedere a tutti uguaglianza di opportunità, diffida dell’egualitarismo assoluto. In concreto, la società dev’essere governata da rappresentanti eletti a suffragio universale (maschile e femminile), con poche eccezioni (gli analfabeti, gli assistiti dal comune), ma devono valere di più i voti dei migliori, sia in quanto a ricchezza che, soprattutto, in quanto a intelligenza e cultura. Rimane parzialmente insoluta la questione femminile, perché, se da un lato Mill proclama l’emancipazione politica delle donne, di fatto non spiega come questa emancipazione possa conciliarsi con la tradizionale divisione del lavoro domestico.

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